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    Dee Dee Ramone, Veronica Kofman, "Blizkrieg punk: Sopravvivere ai Ramones"

    Posted By: TimMa
    Dee Dee Ramone, Veronica Kofman, "Blizkrieg punk: Sopravvivere ai Ramones"

    Dee Dee Ramone, Veronica Kofman, "Blizkrieg punk: Sopravvivere ai Ramones"
    Agenzia X | 2006 | ISBN: 8895029003 | Italian | PDF | 186 pages | 0.95 Mb

    A trent'anni di distanza dall'uscita del loro primo singolo, i Ramones ancora oggi rappresentano la quintessenza della musica punk. Quattro adolescenti della periferia newyorkese alla conquista del mondo: rabbia e vuoto esistenziale sparati alla velocità del suono, l'eccitazione primordiale di un ritmo frenetico. "Blitzkrieg punk" è la feroce autobiografia di Dee Dee Ramone, ex delinquente di strada e "politossico" che assieme ai "fratelli" Johnny, Joey e Marky rase al suolo il rock 'n' roll.
    Sono quasi calve le creste di gallo

    Giuseppe Culicchia, Tuttolibri - La Stampa

    Il trentennale del punk non ha colto impreparati gli editori d'Oltremanica e al di là dell'Atlantico, e nemmeno i nostri, che all'approssimarsi della data hanno messo in cantiere corpose traduzioni. E se da un lato pare lecito chiedersi fino a che punto i punk delle origini avessero davvero in animo di celebrare un giorno certe ricorrenze (specie pensando al più famoso degli slogan di quel «movimento» che com'è noto proclamava «no future»), dall'altro bisogna pure fare i conti col fatto che il punk, lungi dall'esaurirsi nell'esplosione di furia nichilista e iconoclasta che contrassegnò quell'estate del 1976, si è dimostrato capace di arrivare in un modo o nell'altro fino a noi, magari incarnandosi negli hacker che attaccano a mezzo di virus informatici le multinazionali anziché nei musicisti dei Green Day. I quali, con i loro capelli colorati, hanno certo fatto tornare proprio di recente il genere punk in testa alle classifiche: e però, alle orecchie dei vecchi punk ormai cinquantenni alle prese con una calvizie non più soltanto incipiente, suonano inevitabilmente come dei simpatici epigoni.
    A trent'anni di distanza, comunque, pare definitivamente risolta la questione dell'origine del fenomeno, che all'epoca scatenò rivalità assai accese. Nel senso che il punk nacque non a Londra con l'avvento dei Sex Pistols ma a New York grazie ai Ramones. Malcolm McLaren, manager del gruppo inglese, si era già fatto le ossa proprio nella Grande Mela con i New York Dolls, band «en travesti» che spopolava specie nel giro di Andy Warhol suonando glam-rock. E ai concerti dei Dolls andavano tra gli altri Iggy Pop e Debbie Harry, l'ex coniglietta di Playboy destinata a diventare la cantante dei Blondie, ma anche Douglas Glenn Colvin, un giovanotto arrivato negli Stati Uniti da Berlino, figlio di un militare americano di stanza in Germania che nell'ex capitale del Terzo Reich era stato di guarnigione e aveva sposato una ragazza tedesca.
    Douglas Glenn Colvin ha raccontato la sua storia insieme con Veronica Kofman nel libro Blitzkrieg Punk. Sopravvivere ai Ramones. Colvin aveva già scelto di assumere un nome di battaglia ancor prima di aver visto in azione i New York Dolls. A Berlino, un giorno, su una rivista recuperata nella spazzatura, aveva letto che i Beatles prima di diventare famosi si erano fatti chiamare Silver Beatles, e che all'epoca ciascuno di loro aveva un soprannome. John Lennon era John Silver (come il celebre pirata dell'Isola del tesoro), George Harrison era George Perkins e Paul McCartney era Paul Ramone: «Così mi persi in una delle mie fantasticherie, e decisi che da quel giorno mi sarei chiamato Dee Dee Ramone».
    Dee Dee Ramone a New York conduceva un'esistenza da ragazzo di vita non lontana dal pasoliniano Accattone. Tossicodipendente precoce, batteva il marciapiede all'incrocio tra la Cinquantatreesima e la Terza Avenue. Tra un viaggio a base di Lsd e una pasticca, un concerto degli Stooges e uno degli Who, Dee Dee era il tipico ragazzino disadattato. Poi però, nelle strade di Forest Hills, a Queens, ecco l'incontro con Joey, Johnny e Tommy, e la scintilla capace di dare vita ai Ramones.
    «Eravamo conosciuti perché buttavamo i televisori dai tetti delle case. Miravamo alla gente che passava giù in strada. Ci accanivamo soprattutto con le vecchiette che tornavano a casa trascinando fuori dal supermercato il carrello della spesa», racconta tra le altre cose Dee Dee, che dopo aver fondato il gruppo che ancora oggi rappresenta la quintessenza del punk e scritto pezzi su pezzi non più lunghi di due minuti lascerà negli Anni Novanta i suoi «fratelli» e morirà di overdose nel 2002.
    Ai newyorkesi Ramones ammisero di ispirarsi fin dall'inizio i Clash, di cui Arcana pubblica l'ampia biografia scritta da Pat Gilbert e intitolata Death or Glory (da uno dei brani dell'album London Calling, premiato dalla rivista Rolling Stone come il migliore di tutti gli Anni Ottanta anche se in Inghilterra uscì nel 1979).
    Il critico Lester Bangs, altra vittima illustre di quegli anni irriverenti e rabbiosi, scrisse dei Clash che erano «l'unico gruppo che conti qualcosa». Gilbert racconta la band che nel 1982 scalò le classifiche con l'hit Rock the Casbah (il primo pezzo a essere trasmesso dalla radio delle forze armate americane una decina d'anni più tardi, all'inizio della prima guerra del Golfo) a partire da un incontro avvenuto a Londra nel 2001 con l'ex leader Joe Strummer. E fin dalle prime pagine ci si ritrova catapultati nelle retrovie del «combat rock» del quartetto di ragazzi londinesi che a un certo punto della loro carriera scelsero di staccarsi dal punk delle origini inventandosi letteralmente quelle «contaminazioni» ancora oggi tanto di moda, specie nel triplo album Sandinista!, incredibile miscuglio di rock, rap, dub, surf, reggae, jazz, funk, soul, ska, rock'a'billy…
    I Clash, raggiunto il successo planetario, si dimostrarono incapaci di gestirlo; forse non faceva per loro diventare una macchina dello show-business come ad esempio gli U2. E la biografia di Gilbert è la prima a scandagliare a fondo le ragioni della fine prematura del gruppo da sempre titolare della qualifica di «anima politicizzata del punk». Per tornare alle parole dei protagonisti della scena punk degli esordi non si può fare a meno di ricorrere a Please Kill Me, o se preferite Per favore uccidimi, compendio a cura di Legs McNeil (co-fondatore nel 1975 della fanzine Punk) e Gillian McCain, che insieme hanno raccolto in presa diretta e senza filtri le testimonianze di gente come Richard Hell e Arturo Vega, la già citata Debbie Harry e Patti Smith, Jerry Nolan e Iggy Pop. Forse è proprio in queste pagine che si coglie appieno l'atmosfera di quegli anni frenetici, pieni di autodistruzione e però anche di creatività. Anni folli, apocalittici, velenosi, e forse innanzitutto ingenui: «Io volevo solo suonare il mio basso il più forte possibile», dice uno dei protagonisti, che di sicuro non aveva idea del terremoto estetico che avrebbe provocato di lì a poco il suo strumento, terremoto capace di cambiare per sempre non solo la musica ma anche la grafica, i fumetti, la moda.
    McNeil e McCain hanno scritto Please Kill Me intervistando musicisti, manager e comprimari, e hanno fatto un lavoro da veri e propri filologi del punk, recuperando materiali inediti o dimenticati, facendo ricorso a riviste e quotidiani dell'epoca, e a libri usciti successivamente.
    Illuminante, per comprendere lo Zeitgeist, una testimonianza di Malcolm McLaren: «Richard Hell mi sembrava incredibile. Ancora una volta, mi lasciai prendere da un'altra ispirazione tipica di un fashion victim come me; qui non si trattava di un altro tizio vestito di vinile rosso, con labbra di un acceso arancione e i tacchi alti. Questo era un tizio completamente disfatto, lacero, uno che sembrava appena uscito da una fogna, che sembrava coperto di liquame, che sembrava non dormisse da anni, e di cui sembrava non fregasse un cazzo a nessuno. E in più sembrava che a lui non fregasse un cazzo di te!». Davvero apocalittico, no? Salvo che poi il futuro è arrivato, ed era una fregatura.


    Dee Dee Ramone, Veronica Kofman, "Blizkrieg punk: Sopravvivere ai Ramones"