La Morte Urbana

Un uomo è colpito da una malattia degenerativa che lo rende deforme. Invece di attendere la fine come chiunque altro, si ribella al suo destino. Va ad abitare in incognito in una tra le ultime zone malfamate di Milano della Cerchia dei Navigli e diventa il capo dei briganti. Pur in una condizione fisica sempre più spaventosa, riesce a manipolare i personaggi semi surreali che incontra, fino ad ottenere tutto ciò che desidera, sia pure l’ebbrezza del macchiarsi dei crimini più raccapriccianti. Nell’ambientazione in gran parte onirica in cui nuota il suo delirio-di-continuare-ad-essere, l’inconscio collettivo della città rigurgita confusamente tracce e memorie dei delitti che, soprattutto negli Anni Settanta, ne hanno condizionato – e forse persino plasmato – la storia e l’identità di adesso. Questo è un libro sul crimine. Ne scruta l’intimità indicibile, ne scinde e ricompone i margini con una logica folle, ma intimamente coerente. Un grumo di sarcasmo assetato di sangue ne percorre le vertebre facendolo fremere di una luce sinistra, anche quando la poesia occasionalmente sboccia libera e candida come un improvviso fiore del deserto. Ne deriva una sorta di ciclicità sotterranea. Tutto è cupo ed euforico allo stesso momento, mentre i temi ricorrenti di satira sociale e politica rendono il testo incredibilmente attuale.